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critipitt

…plana tabell…
La storiografia si avvale spesso di una stesura archetipica. Viene effettuata tramite
l’associazione delle vicende storiche ad un ciclo di “nascita-crescita-fulgore-declino-morterinascita”
–che è la dinamica emotiva di un archetipo applicabile anche a fatti non storici. Per la
storia della pittura è possibile la stessa associabilità.
È un espediente che facilita la sistematizzazione dei concetti narrati. Nell’esposizione della
storia diventa scontato il ricorso ad un riferimento archetipico, ed anche la pittura può
autonomamente avvalersi dello stesso riferimento. A prescindere dalla plausibilità di questo
sistema narrativo, esso risulta utile nell’inquadrare i più disparati aspetti delle vicende
esaminate di volta in volta –tanto per gli stili quanto per le tecniche- nel loro avvicendarsi.
Ad esempio alcuni secoli di storia locale dell’occidente europeo, invitano a leggere la pittura
guardandone sia lo sviluppo incrementale della sua potenza tecnica, sia la capitolazione di
decadenze e rinascite stilistiche, come fossero su una traiettoria che collega alcuni intenti di
anziane epoche di partenza, ai risultati di qualche epoca successiva dati come meta raggiunta o
conquista (nodo). Acerbo, maturo, crisi, ricambio: sono le fasi che scandiscono le sorti di un
afflato artistico e in questa esposizione storica, le vicende tecniche spuntano e scompaiono tra
le vicende emotive.
Da affiancare a questo esempio è quello egizio, di arte canonica calligrafica, dove entra in gioco
anche una consapevole remora al ricambio: ciò allunga i tempi di scorrimento delle fasi
suddette.
Per “potenza tecnica” possiamo intendere la garantibilità di un risultato. L’incremento della
potenza tecnica può fungere da filo conduttore in esposizioni storiografiche.
Per “avvicendamento degli stili”, invece, non possiamo intendere nulla che vada soggetto ad
incrementi volontari.
Un riferimento incrementale –in pittura- viene comunque implicato sia nella sequenza storica
degli stili, sia nella sequenza storica delle tecniche; ma i termini “stile” e “tecnica” non sono dei
riferimenti assoluti a cui l’artefice debba alcunché.
I critici possono computare tutti i casi in cui si deve evidenziare il nesso tra le due suddette
sequenze storiche (degli stili e delle tecniche) e tutti quelli in cui non si deve far discendere
l’una dall’altra sequenza.
Oltre a questi due termini, se ne contano altri a disposizione dell’analisi fenomenologica della
pittura (e delle altre arti, trasponendo all’uopo). Ci sono: il ruolo, la remunerativita’ ….
Un esempio può sintetizzare il nesso sensibile tra stile e tecnica –il quale esempio è quello di un
chiaroscuro approssimato -tipico di un periodo, seguito da un chiaroscuro continuo -nel
periodo successivo; laddove chi dipingeva con il primo, è antenato del discendente che
dipingeva con il secondo. È coerente con ciò, magari, il fatto che le due generazioni usassero
leganti differenti; è coerente anche che sia stata coltivata l’abitudine a far buoni pennelli; è
perciò esatto ricorrere al concetto di “evoluzione”: così che nel caso del legante, sarebbe detta
“evoluzione tecnica” e nel caso del pennello sarebbe detta “evoluzione tecnologica”. Per quanto
riguarda –invece- l’evoluzione degli stili, diventa insicuro l’appoggio al presupposto di innesco,
laddove sarà sempre detto arbitrario ogni giudizio sugli stili: che l’uno –stile- sia più o meno
evoluto dell’altro, è un giudizio che assomiglia piuttosto ad una “gaffe”, che ad un “presupposto”
(eppure è possibile ed accettabile il dare un peso convenzionale ai vari stili –ciò in funzione
dell’osservazione storica da effettuare).
Con la parola “tecnica”, tra l’altro, s’intende anche la vera e propria abilità del corpo –e non
soltanto la natura della materia d’opera con la propria specifica lavorazione. Con ciò ci si
approssima piuttosto all’altro termine (stile: il quale termine già rivela che anche qui c’è un
legame tra le cose della materia e le cose della persona: essa –persona dell’artista- usa -<<…lo
“stilo” di piombo o d’arghiento…>> per dettare al mondo le proprie forme –pensate o vedute.
Quindi è la tecnica di disegnare con lo stilo di metallo, la quale è così personale ed inimitabile
quando usata da quel certo artista, che il suo stilo è riconoscibile tra mille altri. -<<Un disegno
stilato da quel mirabile personaggio …fa tendenza! >> -e tali sono lo stile personale e lo stile
ricorrente. Non si può vedere se uno tra i due moti avvenga prima dell’altro: dall’individuo alla
generazione come dalle generazioni all’individuo. Un moto diventa l’altro, indifferentemente).
Per “potenza tecnica” possiamo intendere la garantibilità di un risultato –ad esempio: per
dipingere un chiaroscuro con il pennello, dovrò avere dei buoni pennelli, altrimenti ci
impiegherei più tempo e dovrei sforzarmi in maggiori virtuosismi di abilità; ed il risultato
potrebbe comunque non equivalere “all’altro”. Unire ai pennelli, l’abilità di chi li usa; conduce a
valutare quanto sia potente la relativa tecnica. l’influenza reciproca tra le due istanze, porta
addirittura ad identificare l’una nell’altra -in alcuni casi. Ad esempio nell’antica ritrattistica ad
encausto, troviamo una esaltazione estetica del gesto integrale, perché è di gesti integri che
l’operatore ha bisogno per imprimersi nel caratteristico materiale.
Dal quattordicesimo al diciottesimo secolo –per la pittura- tutto sembra corrispondere allo
schema evoluzionistico –come meglio si possa tratteggiare. L’atteso momento critico di questo
schema, poi, prende forma di una “crisi dialettica” della pittura –laddove il circuito stabile che
si era instaurato, viene progressivamente insidiato dalle sue parti che non circuiscono più con
passi univocamente contestualizzati. I contesti vengono infatti costruiti piuttosto che esplorati.
Nulla di deplorevole in ciò.
A questa fase crisi, però, è innegabilmente successa una dispersione della potenza di lavoro.
Non è detto che le due fasi siano “causa-effetto”. È certo che nonostante la dispersione, una
parte della potenza di lavoro abbia comunque causato stimoli verso l’incremento di potenza
tecnica. Finché con materiali migliori che in passato, con attrezzi e strumenti più sperimentati
che in passato, con maggiore plausibilità economica del cantiere artistico rispetto al passato –
pare purtroppo difficile che qualche artista si senta autorizzato a superare le opere del
“Passato”. Complici reticenti sono tra le fila dei committenti: operatori fisici, oppure funzioni
sociali, oppure esigenze comunitarie, o altre figure committenti –sono ben lontane dal
desiderare luoghi e realtà che equivalgano (in peso emotivo) alle situazioni passate. Anzi, pare
proprio che vengano fatte due confezioni culturali distinte l’una dall’altra: “…con musei e
turismo” da un lato e “…con gallerie e affaristi” dall’altro. Eppure le potenziali commissioni
attuali potrebbero affacciarsi alla imparzialità dei promotori, avendo essi visto peccare di
parzialità le corrispondenti figure committenti del passato.
Ora abili pittori dimostrano di poter eguagliare i maestri del passato, ma trovano ben pochi
motivi per farlo -o rischiano di dipingere al solo scopo di mostrarlo.
Ora con loro ci sono i meno abili, perché possono considerare sé stessi pari ai primi. Nessuno
mai chiederà loro il confronto.
Se ora gli abili pittori utilizzassero le attuali potenze tecniche come furono utilizzate dai
predecessori le loro potenze passate (in tempi che ci paiono migliori), si vedrebbero
raggiungere risultati strabilianti. D’onde vennero le cause di quelle produzioni? Cosa causò la
dispersione di forza di cui poi soffrì l’apparato artistico?
Portiamoci al punto storiografico dove la pittura raggiungeva una praticità di esecuzione che
consentiva ad un crescente numero di aspiranti, il conseguimento dell’abilità pittorica voluta.
In posizione più confidenziale di prima nei confronti delle formalità sociali, la pittura diventava
uno “stereotipo per trascrivere la realtà” -per tradurre le viste e i pensieri in raffigurazioni
formali la cui efficacia fosse “standardizzata”. Materiali, strumenti ed attrezzi costituivano un
comparto commerciale fortemente specialistico –più che in passato (dallo speziale al colorista).
Il pittore che secoli prima pretendeva di raffigurare la realtà, ora pretende di raffigurarla
benissimo. Poi pretenderà di raffigurarla anche “in un certo modo” -e questa ammissione di “un
certo modo” sfocerà in supponenti autoreferenze operative -tra le più svariate. Restiamo al
passo precedente, quando “trascrivere” la realtà, era la principale funzione della pittura. Poteva
declinarsi –tale funzione- a fini decorativi, celebrativi etc. (dalle liturgie da salotto a veri e
propri versi poetici visivi –oziosi o profondi che fossero, per essi era comunque disponibile
l’illusione della terza dimensione, cioè la “buona” pittura). Fu allora un po’ più frequente
incontrare dipinti stanchi e disinteressati ma di una sicura esattezza tecnica. Dovette esser
questo un “iper-manierismo compulsivo”, tacciato oramai da “perbenismo tecnico”. Qualcuno
tra i pittori anche riconosciuti e criticati e affermati, si estraniava dagli accademismi,
dichiarandosene contrario (in realtà era contrario al proprio rischio di anonimato). È
presumibile che allora sia stata in atto una ricerca di nuove nicchie di mercato –da parte degli
artisti; o che allora si sia avvertito un palese squilibrio tra le varie parti in gioco della filiera
artistica (squilibrio non solo economico-commerciale, ma anche culturale).
Era ormai abbastanza lontana quella pittura tipica della penisola italiana; era ormai ben
digerita quella pittura tipica dell’oltre-mediterraneo settentrionale…quando intervenne la
spinta dell’artificio fotografico. Ben presto, in pittura se ne sarebbero viste molte, di esclusività
stilistiche. Era comunque da quattro secoli che i pittori formulavano concetti sulla
raffigurazione piana e sulle sue proprietà narrative, focalizzando l’attenzione sulla migliore
contraffazione del reale (per servire la stesura del pensiero figurato), e ora la nuova tecnologia
mostrava un’altra via per figurare il vero –forse a discapito del figurare il pensiero; ma qualcuno
avrebbe di certo provato a farlo. Per il successivo secolo i veterani “pittori al pennello” ed i
nascituri “pittori alla lente” evitavano di riconoscersi, pur trovandosi spesso faccia a faccia. Fu
pur sempre ben chiara la gemellanza tra le tecniche della tinta e le tecniche della luce.
La tendenza della pittura ad un realismo che fosse ordinario, ovvero la “necessarietà” del
realismo con cui si raffigura in pittura:
mentre la tecnologia delle tinte poteva innalzare questo standard di necessarietà, la tecnologia
della luce ne poteva proporre uno nuovo (cioè che il realismo devesse essere non soltanto
ordinario, ma praticamente inevitabile).
Poi nel tempo intervenne due volte un funesto moto bellico, che indusse le generazioni
pittoriche a delle goffe e violente scrollate culturali, con cui tra loro ci si schierava in fazioni
contrastanti, ciascuna delle quali dichiarava l’approdo al più sano plauso attendibile. Accanite
battaglie culturali si aprivano sul come usare l’arte pittorica. Le guerre mortali –inveceimperversavano
anche su queste battagliucole, forse rendendole più accese. Nel frattempo la
committenza che cambiava già dal secolo scorso, tendeva addirittura a spegnersi.
La committenza: essa fa parte dell’opera, nella misura in cui influisce sui pretesti esistenziali
dell’opera stessa.
Purtroppo la committenza tangibile non offre alla storia molti esempi apprezzabili, ma
fortunatamente il pittore lavora anche per una committenza meno tangibile: quella che spunta
spontaneamente dalla destinazione psichica dell’opera, la quale ne determina i caratteri ed il genio. La
committenza immateriale, per attuarsi, spesso si avvale del medium materiale, che è l’individuo
committente.
La committenza tangibile è un individuo (o gruppo) che chiede di fare, o che ordina di fare. La
committenza immateriale è una esigenza collettiva che induce a fare, che suggerisce di fare. La
committenza tangibile paga, la committenza immateriale non può –ma delega il passo al
tangibile di turno.
Da una progressiva deformazione della committenza tangibile, scaturisce una forma aberrata
ma acclamata di “negazione della committenza”. Perché si dice che agli artisti bisogna dare tutta
la “libertà creativa” . anzi, -<<..è vietato porre freno all’ispirazione…>>. Dal canto loro, gli
“artisti” sono effettivamente liberi di approfittarne. Scaturito e consolidato il sistema dell’”artemercato”,
esso fa decadere del tutto il concetto di commissione artistica; al prodotto pittorico
non è richiesto altro che di poter valere molto denaro. Il valore di un’opera viene giocato
speculativamente, muovendo così la scena. Chi siede al banco di questo gioco d’azzardo sono le
gallerie. I moderatori e arbitri del gioco sono i critici; a giocare sono i mercanti; all’artista non
resta che produrre le fiches necessarie al gioco. All’artista resta difficile cogliere le committenze
immateriali, perché le richieste di mercato somigliano loro. La filiera artistica resta offesa.
Fortunatamente sono molti i casi in cui un qualche artista dalla spiccata genialità riesca a
trovarsi proprio lì dove coincidono le richieste di mercato, le richieste della collettività e –
perché no- le richieste di uno specifico pagatore diretto. Raro, perché è cosa di basso rango;
cose da bracciante artistico. Di fatto assistiamo all’esistenza di due distinti motori nella
medesima filiera produttiva: mercato e committenza. Molto congestionato il primo, atrofico il
secondo. Eppure questo stato di fatto certamente non proviene da esigenze collettive; non è
una committenza immateriale –non essendo una esigenza collettiva. Quindi questo stato di fatto
è una discrasia.
Il fatto è che –esistendo due motori per la stessa filiera, allora chi lavora per essa si trova
spiazzato tra due possibili impieghi della propria potenza operativa.
Il famoso “dripping” può essere prodotto a pezzature industriali, e può egregiamente fungere
da “finto-marmo”. Può anche essere –invece- la produzione caratteristica di un particolare
autore dedito a rifornire le gallerie. È stata la seconda, ad essere la storia attualmente vera. In
casi come questo, si nota bene qual sia il contributo delle cause esterne, nell’instaurazione
artistica: si noti –infatti- la differenza tra committenza e mercato.
Due punti di vista: (.) gli “artisti” sono in sovrappopolazione e sono in preda al Mercato; (.) gli
“artisti” sono scomparsi dai luoghi di lavoro perché non li si richiede.
Tornando alle due tecniche (-a- delle tinte e -b- della luce): oggi ambedue possono vantare
d’aver raggiunto i loro trascorsi scopi.
-a- Al giorno d’oggi, in pittura, la potenza tecnica media è elevata; se per secoli è stato promosso
un apparato produttivo che fornisce i pittori di materiali, attrezzature, strumenti, che facilitino
un determinato risultato, allora è frequente imbattersi in ricercati realismi. Peraltro, gli
operatori abili sono molto più numerosi –anche se molto meno riconoscibili (ma qui
subentrano gli effetti di una sindrome invalidante: c’è –infatti- una grave affezione a carico
dell’identità disciplinare).
Ora conseguire un buon realismo pittorico è abbastanza facile: basta avere una adeguata
preparazione tecnica ed un buon motivo per farlo. Quindi si potrebbe immaginare che il
generico osservatore faccia un richiamo a certi pittori, dicendo -< …inutile che cerchi di
stupirmi con questi chiaroscuri da palcoscenico!..-ho capito, che sai contraffare le venuzze
capillari meglio di come lo si sapeva fare tra i ritrattisti illustri …e puoi fare anche a meno di
citarmi la storia! Ma invece potresti dirmi quello che pensi, non pensi?..>. Siffatta scena sarebbe
un qualcosa di molto simile a quel che sappiamo esser successo anche in passato (precisamente
quando il perbenismo tecnico veniva morigerato dalla curiosità percettiva).
-b- Al giorno d’oggi, la fotografia ha assunto una valenza somatica al pari della scrittura –anzi,
del verbo stesso (e più). La diffusione dei dispositivi fotografici è eclatante e l’atto dello scatto
è effettivamente un passaggio operativo spontaneo come fosse il normale gesticolare con le
membra o con la mimica facciale (condividere una immagine è –tutto sommato- ciò che
facciamo anche di noi stessi).
La natura allografica della pratica fotografica, fa sì che l’accorgimento preso da alcuni fotografi
in arte propria, sia quello di “ridurre “ il realismo ottenibile (lo stesso che la pittura inseguiva);
ciò fa il fotografo quando vuol rendere la propria opera un po' più autografica –e anche per
poter rispondere a chi nel confrontare fotografia e pittura accusi la prima di freddezza emotiva
rispetto all’altra. Seguirà la voce di alcuni pittori, i quali sembrano aver detto -< …ah si?...volete
proprio vedere “di quanta freddezza siamo capaci” noi pittori?..> e con ciò dimostreranno la
sostanziale indifferenza verso il confronto suddetto (effetti pittorici in fotografia, effetti
fotografici in pittura, e così via –fino alle attuali visioni vettoriali e verso le futuribili
contraffazioni olografiche). Quegli artisti, si chiameranno “iper-realisti”, non per fatti tecnici ma
filosofici. Comunque il nome è uno tra gli schiamazzi dei vari “-ismi” già dilaganti.
Queste due tecniche di artificiare immagini tridimensionali monoculari, forniscono un valido
esempio di come l’artefice abbia impiegato il proprio potenziale operativo nell’uno o nell’altro
motore economico della filiera di produzione d’arte. Sia i pittori che i fotografi avevano
committenti ed avevano gallerie di riferimento (o almeno aspiravano a tali possibilità).
Sintesi delle osservazioni.
Il lasso di tempo considerato, contiene i passaggi che hanno accompagnato la progressiva
dispersione di un ruolo utile e di una identità univoca –cose che spetterebbero a chi volesse
vestire il nome di “artista”. Pittore: non solo gli antichi fotografi, ma anche i futuribili olografi
dovevano e dovranno essere coscienti di avere un archetipo chiaro che ha questo nome. Forse
in questo modo la parola “artista” tornerà ad essere associata ad un vero mestiere comune e
diffuso.
Se fossero utilizzate le attuali potenze tecniche come le potenze passate venivano usate in tempi
migliori, si raggiungerebbero risultati strabilianti –così la si finirebbe di restare a bocca aperta
soltanto di fronte ad opere del passato e ci si impegnerebbe a condurre opere alla pari col
passato e soprattutto a sfruttare la loro funzione di catalizzatore di interesse culturale, per
polarizzare culture più sane dell’attuale disinteresse verso le arti
C’era una tecnicità che tendeva all’impeccabilità e c’era una committenza che la sprecava(1).
C’è una tecnicità tesa all’irresponsabilità e se ci fosse una committenza non potrebbe
pretendere nulla(2).
Per buona fortuna del nostro lascito al patrimonio artistico comune, ad ambo le affermazioni
poste sul bilanciere possiamo opporre numerosi esempi che le contraddicono.
1)) vediamo una committenza molto ponderante sulle realizzazioni. Pondera sul numero, sulla
qualità, la tipologia e i fini –come è ovvio che sia- ma in modo proverbialmente incisivo.
Sembrerebbe che la committenza sia stata una condizione limitante per gli artisti. Sembra
possibile domandarsi -<<…chissà cosa avrebbero dipinto, se non avessero dovuto soddisfare
simili esigenze…>>. Ebbene avrebbero dipinto le stesse cose ma in forme diverse. Si, e vero che
si sarebbero configurate opere diverse da quelle che abbiamo, ma le forze ed il contenuto delle
opere sarebbe stato lo stesso; perché la committenza tangibile non può mai avere più
importanza della implicita commissione immateriale che le corrisponde. Basti pensare che
servire la prima è un atto cosciente, con un ritorno pratico; onorare la seconda è un atto non
completamente intenzionale. Sempre soddisfacevano la prima seguendo i suggerimenti della
seconda.
2)) al finale odierno, vediamo sparire la committenza tangibile perché relegata ad apparire
offensiva della massimizzazione creativa rincorsa da fervidi artisti all’opera. Domandarsi -
<<…cosa dipingerebbero se lor fosse commissionata una certa opera?...>>
Se fossero utilizzate le attuali potenze tecniche come furono utilizzate le potenze passate (in
tempi che ci paiono migliori), si raggiungerebbero risultati strabilianti –così la si finirebbe di
restare a bocca aperta soltanto di fronte ad opere del passato e ci si impegnerebbe a condurre
opere alla pari col passato e soprattutto a sfruttare la loro funzione di catalizzatore di interesse
culturale, per polarizzare culture più sane dell’attuale disinteresse verso le arti
Dalla pittura rupestre alla scrittura c’è un percorso inconsulto per il quale dall’una consegue
l’altra –o viceversa –oppure c’è una origine coeva e sincretica che accomuna le due attitudini -.

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appuntimetartist

 il desiderio di "astrattismo" - in pittura, è in risonanza con un certo atto musicale che rinuncia al ritmo e al motivo. Motivo e ritmo sono nomi sintetici delle costanti di musicalità come la figurazione è la costante che affiora da ogni pittoricità. Questo afflato di negazione, sia in Musica che in  Pittura, ha condotto -in un caso, agli accattivanti accadimenti musicali che in molte culture si riconoscono apertamente (ad es.: canti pseudo-istintivi privi di ausilio melodico e ritmico; strumenti suonati per assaporarne il suono saziandosi d'esso e non d'altro; etc.) -nell'altro caso, alle paradossali pretese di rinnegare la figurazione, ma in un modo che "superasse" i già conosciuti modi di farlo. Si è data -in storia- una notevole importanza a questa teorizzazione critica -e non ne meritava tanta; mentre le concezioni musicali che riducono l'importanza di ritmo e motivo, sono -come già erano- o integrate nella spontaneità o esposte come particola...

il pugno di terra

adobehttps://www.edilportale.com/news/2022/05/focus/case-ecologiche-in-terra-cruda-la-tecnica-del-superadobe_88526_67.html Dissi: l'opera di c.a. dovrebbe esigere una quantità di prassi autorizzative, per poter garantire la validità delle ragioni con cui si sosterrebbe la sua esistenza. Dico: e il costruire che di per se stesso dovrebbe essere autorizzato con più parsimonia.  Ci sono sistemi costruttivi che possono integrare la soddisfazione della pulsione edificatoria umana senza ricorrere a sistemi eccessivamente impattanti.  

#psipop

 nel modo in cui si succedono le generazioni, evvi ciò:  chi alleva la prole è il popolo che ha appena generato un periodo ( costumi e modi di un dato lasso di tempo come 10/30 anni); ne ha decretato le sorti e ne ha iniziato il cambiamento in un successivo periodo. chi viene allevato, si trova nella realta di uno di questi periodi. chi alleva si troverà nella conizione mentale di chi dice "...ah i tempi di una volta erano migliori..." ..etcetera (che è l'atteggiamento tipico dei fautori del passaggio -ovvero il generico individuo ).